La chiamata veniva troppo presto per non sapere che cosa significasse. Mio padre era stato ricoverato al ospdale due giorni prima, dopo aver sofferto di un attacco cardiaco.
Quando l’avevo visto quattro giorni prima, la sua energia era quasi evaporata: era un fragile uomo ottantenne la cui salute era stata in declino durante i nove anni precedenti. Mia madre non mi telefonerebbe alle sei di mattina per discutere del tempo.
Un baratro mi si è aperto sotto i piede mentre sentivo che cominciava a dire: “Dennis, una cosa terribile terribile è accaduto.” “Papà è venuto a mancare?” ho completato il suo annuncio. Lei era grave e rallentata dal dolore, eppure stava esprimendo tanta sorpresa che lui potesse essersene andato. Avevo fatto sogni per alcuni mesi che presagivano la sua dipartita. Io e mio fratello con lui alla Marina Mart, mio fratello baciandolo con tanta gentilezza;
io scendendo dalla mia VW viola all’officina per guardare il passagio di una processione funebre sollene e dignitosa.
E così non ero sorpreso.
Quella che sentivo quando ho appreso della scomparsa di mio padre era qualcosa comparabile all'eccitazione, anzi una scarica di adrelina. Avevo bisogna di muovermi per armonizzarmi con la mente iperattiva che cominciava a progettare – a chi telefonare, che cosa cancellare, quando partire, cosa portare con me. Ma prima di tutto, pensavo alle macchine. Erano mie adesso.
Non c’era stato alcun dubbio da parte di mio padre che le macchine sarebbero state le mie un giorno. In diverse occasioni quando lavoravo con lui, diceva “Allora, un giorno tutte quest’auto saranno le tue.” Oppure, “Un giorno puoi vendere uno di queste ogni anno e avrai un bel mezzo di sostentamento.” Avevo un difetto che mi impediva di prenderlo in parola? Una debolleza che mi faceva rifuggire dalle sue parole e nascondermi alla loro importanza, e che mi faceva cambiare l’argomento? O era semplicemente il mio disagio con il riconoscimento della futura morte di mio padre e del mio conseguente guadagno da ciò? Con l’arriva di quel momento, sentivo che potevo uscire allo scoperto, che potevo cominciare ad ammettere a me stesso che volevo quelle macchine.
Poi mi sono reso conto quanto calzasse che fossi completamente preso da queste macchine. La mia attenzione andava nello stesso posto dove quella di mio padre era andata nel corso dei trenta anni precedenti. Era un perfetto rovesciamento dei nostri ruoli emotivi.
Ho scelto di accettare questa scomoda simmetria . . .
. . . e aspettare che l’afflizione mi giungesse a suo tempo.
No comments:
Post a Comment