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Studio l'italiano dal febbraio, 2008. Ho cominciato prima di viaggiare in Italia con la famiglia (Verona, luglio 2008). Grazie a Mirella, Francesca, Bianca, Laura e Paolo che mi hanno aiutato molto.

Wednesday, December 1, 2010

Elegia, non elogio

“Non dovrebbe essere ‘elogio’?” Ho sentito mia madre dirlo dall’altra stanza. Sono corso in cucina per dire no, era un’elegia, una cosa diversa. (In inglese, sono elegy e eulogy – è più facile confonderle.) Ero turbato non perché lei non sapeva che cos’era un’elegia (me lo sarei aspettato), ma perché insinuava forse che avrei potuto sbagliare a scrivere una parola. Sentivo la necessità di prendere una difesa. Non che a mia mamma ne sarebbe importata qualcosa.
Ma è il genere di cose che è importante nel mio mondo, proprio come per mio padre sarebbe stato importante avere la vite di regolazione della carburante precisamente giusta.

Allora ero sollevato quando ho incontrato il pastore che avrebbe celebrato la cerimonia funebre. Sembrava intelligente e colto, e mi rilassava, soponnendo che avrebbe letto bene la mia elegia. Immagina il mio raccapriccio quando, tempestandomi di lachrime e dolore alla funerale, lui ha iniziato la mia lettera d’addio con “Elogio a mio padre.”


Non volevo semplicemente parlare di mio padre in termini. “Elegia” può portare il contesto storico di amore non ricambiato, e volevo parlarne alla funerale, anche se nessuno ne cogliesse il riferimento. Volevo chiamare avanti, così come un poeta dà nomi a cose per quello che sono.  Quel dolore profondo che si sente quando, pieno con il desiderio ardente di accetazzione e abbraccio, si è respinto.


Mio padre mi sembrava un Grande Uomo, e da giovane ero perdutamente orgoglioso di lui. Benché avessi bisogno d'aiuto solo di rado a fare i miei compiti, una notte nel mezzo della mia carriera di scuola elementare, volevo l’aiuto di mio padre con qualcosa che richiedeva il disegno, perché ammiravo sempre le sue linee ferme quando faceva degli schizzi. E’ arrivato tardi a casa come al solito, e sono corso per salutarlo e per chiedergli aiuto immediatamente. (Penso spesso a quel momento quando ritorno a casa, stanco dal lavoro, e mia figlia non perde affatto del tempo per ingaggiare un gioco con me.) Volevo tanto il suo tempo e la sua attenzione. La sua risposta brusca, il suo “non ho tempo ora” frettoloso, mi ha scagliato via, e sono corso attraverso la casa nella mia camera dove sono saltato sul letto. Ho nascosto il viso tra i guanciali e ho parlato la verità, triste e rovente, della mia vita: “Non ho un padre, non ho un padre,” ripetendo come un mantra penoso e lamentoso. A quell’età, ero già stato mandato via con abbastanza regolarità da poter giungere ad una Conclusione, oltre il momento singolo. Mi sono schiantato ancora una volta contro un fatto fondamentale della mia vita.


E sarebbe rimasta così, una grossa verità della mia esistenza, anche se c’erano momenti opposti, anche se certi azioni e qualità di mio padre ammorbidivano l’effeto o anche mi toccavano, veramente.

Adesso, girando per l’officina umida, stordito dalla morte, il qualità temporale di questa verità deve cambiare. Dico “Non avevo un padre.” Mi manca lui? Penso che gli mancavo io.


Ma che cosa grande mi ha lasciato, questi undici gioielli automobilistici, quest’officina del tesoro di metallo rilucente . . .


. . . eppurre, esploro le erbacce della mia scontentezza.

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